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mercoledì 29 gennaio 2014

La sindrome del “povero me”!

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In questo post voglio portati a conoscenza di una storia professionale reale accaduta a Owen Fitzpatrick, il più giovane Master Trainer in PNL nominato da Bandler. 

Lui stesso la racconta durante i corsi di specializzazione in PNL e la stessa è presente nel suo libro best-seller, scritto proprio a quattro mani con Richard Bandler, “PNL è Libertà”. 

Questa storia è per molti aspetti paradossale e proprio per questo merita di essere citata. Te la riporto integralmente così come è scritta nel libro.

“Entrò nel mio ufficio tenendo la testa china. Aveva poco meno di 40 anni ed era molto ben vestita. Mi strinse fiaccamente la mano e si accasciò distrattamente sulla sedia. Cominciai.

OWEN: Allora, come posso aiutarla?

Sospirò. Ricordai la nostra ultima conversazione al telefono. Era stata lei a chiamare e a chiedermi un parere professionale. Le cose che sapevo di lei erano tre. Come prima cosa, era stata da una dozzina di terapeuti: psichiatri, psicologi, ipnoterapeuti, counselor e anche alcuni practitioner di PNL. Nessuno l’aveva saputa aiutare, o almeno così diceva.

In secondo luogo, sapevo che era “polare”. Con ciò intendo dire che era il tipo di persona che, qualsiasi cosa dicessi, non sarebbe stata d’accordo. Indipendentemente da quello che avevi da dire, lei non sarebbe stata d’accordo.

Terzo: era uno dei migliori esempi che avessi mai incontrato di persona affetta da quella che chiamo la sindrome del “povero me”, in cui tutto quello che la persona sa fare è lamentarsi in continuazione di quanto orribile sia la sua vita.

Essendo questa la partenza, mi ero fatta un’idea di come me la sarei giocata. Non mi sarei mai aspettato di dovermi spingere così in là, ma il mio istinto mi sostenne per tutto il tempo.

Rispose con un pietoso lamento.

MARTINA: Non so se ci sia qualcosa che mi potrebbe aiutare. La mia è una vita terribile.

Ne convenni.

OWEN: Non mi sorprende.

Leggermente scioccata, continuò.

MARTINA: Il fatto è che tutti mi odiano.

Fui nuovamente d’accordo.

OWEN: Non posso certo biasimarli.

Continuò con ancora maggiore impegno.

MARTINA: No, vede, io non valgo nulla. Non sono affatto attraente. Nessuno mi vorrà mai.

Ancora una volta mi ritrovai d’accordo e, premuroso, aggiunsi:

OWEN: Ottima osservazione.

Mi guardò con aria indignata, ma continuò. La conversazione continuò così per altri dieci minuti in cui la sua voce si faceva sempre più irata e sconvolta. Le avevo dato ragione su tutto quel che di negativo avesse detto su di sé. Alla fine mi guardò con la rabbia negli occhi.

MARTINA: Vede, non riesco neppure a farmi valere con nessuno. Lei mi sta maltrattando come tutti gli altri. Non fanno che trattarmi come uno zerbino.

Ancor oggi mi chiedo come abbia avuto il coraggio di farlo, ma appena ebbe pronunciato l’ultima parola mi alzai, mi portai dall’altra parte del tavolo, dove stava lei, e mi pulii la scarpa sui suoi pantaloni color crema. Questa volta, lo sguardo che mi rivolse fu un misto di orrore e disgusto. Ancora pochi minuti e quella donna cominciò a ingiuriarmi, gridando. Mi affibbiò qualsiasi epiteto conosciuto, mentre mi spiegava come mi avrebbe dimostrato che avevo torto.

OWEN: Mi dispiace tesoro.

Lo dissi con tutta la condiscendenza di cui ero capace.

OWEN: Temo di non poterti aiutare. Temo che nessuno possa farlo, perché sei senza speranza. Non c’è nulla che potrebbe fare una qualsiasi differenza per te, a questo punto. Sei brutta, stupida, grassa, fastidiosa, noiosa, pigra e antipatica.

Avevo riassunto tutto quello che aveva detto di sé negli ultimi 25 minuti. Più o meno.

OWEN: Per di più, hai provato di tutto e niente ha funzionato. Perciò ti terrai quel tuo problema finché campi.

Mi maledisse, dicendomi come avrebbe cambiato la sua vita da cima a fondo.

MARTINA: Lei è una persona assolutamente ignobile. Le farò vedere io. Come osa? Non ha alcun diritto. Le dimostrerò che ha torto. Lei è assolutamente ignobile.

Aveva intenzione di chiudermi la bocca una volta per tutte e io mi sarei pentito di quel che avevo detto. Detto ciò, dopo neanche 30 minuti di sessione, si precipitò fuori dal mio ufficio come una furia. Dapprima sentii il cuore battere all’impazzata, poi mi sedetti e mi resi conto di quel che era accaduto.

Tre mesi più tardi ricevetti una lettera. Era lunga quattro pagine e mezza, scritta a mano e cominciava con “Caro Signor Fitzpatrick”. Cominciai a leggerla e mi misi subito a ridere: questa signora si era presa la briga di insultarmi selvaggiamente a più riprese e, nel frattempo, di spiegarmi come avesse rivoluzionato la propria vita. Diceva di avere incontrato un nuovo compagno, di essersi fatta nuovi amici sul nuovo posto di lavoro, di essere in procinto di traslocare in una zona più bella della città e che, fondamentalmente, tutto andava a meraviglia.

La sua lunga e offensiva lettera terminava così: “E’ come le avevo detto. Ora la mia vita è cambiata e tutte quelle cose orribili che mi aveva detto, beh, si era sbagliato. Tutto va alla grande, adesso. La sua previsione non era affatto rispondente alla realtà. Come ci si sente ad avere torto? Le cose mi stanno andando bene e sono io a fare in modo che le cose vadano così”.

Nel finire la lettera, mi resi conto che c’era soltanto una cosa che dovevo ancora fare. Le risposi con una lettera di una sola riga “Certo, ma quanto durerà?”. Questo significava che, per poter continuare a dimostrare che avevo torto, avrebbe dovuto continuare a rendere la sua vita assolutamente fantastica.

Circa un mese più tardi, ricevetti un’altra lettera, alla quale era allegato un assegno per la sessione che avevamo fatto. Questa volta non era più lunga di una pagina e cominciava con “Caro Owen”. Nel resto della lettera mi spiegava come, alla fine, avesse capito che cosa avessi fatto per lei. Si scusò per tutte le cattiverie che aveva scritto e detto precedentemente e mi spiegò che la cosa che l’aveva veramente fatta cambiare era stata la rabbia, assieme alla possibilità di dimostrare che avevo avuto torto.

L’unica cosa a cui riusciva a pensare, diceva nella lettera, era: “Gliela farò vedere a quel bastardo”. La determinazione era stata la molla che l’aveva finalmente spinta a entrare in azione.

Questa è la storia che Owen racconta nel Master Practitioner di PNL quando insegna la parte relativa alla linguistica! Nel libro, il paragrafo che contiene questa storia, termina poi con il dialogo tra Owen e Richard Bandler sul come aiutare le persone che si autocommiserano.

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